La lezione “nascosta” di Pio XII

Ripubblicato un saggio dell’economista F. Loffredo sul Magistero sociale pacelliano e un saggio di Brienza su Pio XII e l’ordine sociale.

di Omar Ebrahime, da Vatican Insider (08/06/2012)

Resta uno dei Pontefici più discussi della storia recente della Chiesa. Eppure, se solo si accostasse la sua persona e il suo insegnamento accantonando i pregiudizi, la figura del Venerabile Pio XII riserverebbe ancora sorprese. Non solo e non tanto per gli aspetti notoriamente più dibattuti (seconda guerra mondiale, anticomunismo, questione ebraica e Shoah) ma, anche e soprattutto, per ciò che oggi, in un’epoca per certi versi molto distante da quella in cui egli visse ed operò, resta ancora quale monito profetico: ovvero il suo Magistero sociale, particolarmente in tema di famiglia ed organizzazione sussidiaria della società.

È quanto emerge dal recente volume curato dal giornalista e saggista Giuseppe Brienza, Il Magistero di Pio XII e l’ordine sociale (“Fede & Cultura”, Verona 2012, pp. 112, Euro 11,00), utile non solo per farsi un’idea della valenza dei numerosi discorsi e radiomessaggi natalizi pacelliani (soprattutto 1941, 1942 e 1943) dedicati alla ricostruzione dell’Europa ed alle politiche sociali future, ma anche per conoscere l’opera di quanti – tra i fedeli laici cattolici – si fecero interpreti del corpus magisteriale sociale di Pio XII, convinti che i suoi interventi fossero di una lungimiranza tale da contribuire in modo decisivo alla risoluzione delle numerose crisi (economiche, morali e spirituali) che già allora la società occidentale si trovava ad affrontare.

Tra questi ultimi un posto di rilievo spetta all’economista, giurista e sociologo della famiglia Ferdinando Loffredo (1908-2007), recentemente scomparso dopo aver dedicato – letteralmente – quasi tutta la sua esistenza (un secolo) alla valorizzazione e alla promozione pubblica, soprattutto in ambito scientifico, della Dottrina sociale della Chiesa (DSC) e dei naturali corpi intermedi su cui essa poggia, a partire dalla famiglia.

Il magistrato e storico Francesco Mario Agnoli, nella prefazione, lo spiega con chiarezza quando sottolinea che la cosiddetta “questione demografica” (con la relativa crisi di massa della natalità), oggi nodale per l’Occidente, non può essere risolta adottando un approccio meramente economico-finanziario, fatto magari di “incentivi […] e agevolazioni concesse nel mondo del lavoro ai padri di famiglia” ma, come era già convinto Loffredo sulla scorta dell’insegnamento sociale della Chiesa ed in virtù dei suoi studi di politica economica (fu infatti anche docente di “Politica della sicurezza sociale” presso l’Università di Macerata), operando anzitutto su un piano giuridico e culturale per affermare che gli ordinamenti e le leggi non creano essi la famiglia ma piuttosto la riconoscono oggettivamente come un dato universale pre-esistente.

Dopo una introduzione che inquadra la biografia e l’opera di Loffredo, confutando in particolare la mistificazione della sua figura che si è avuta nei decenni scorsi a causa di gruppi ultra-progressisti, Brienza ne riprende uno studio del 1958, intitolato “La sicurezza sociale nelle dichiarazioni del Pontefice Pio XII”, che riveste un valore “apologetico” del Magistero di Papa Pacelli, in quanto la solidità di magistero sui principi sociali dell’ordinamento pubblico da parte del pontefice fu apprezzata da uno studioso non cattolico come il socialdemocratico Angelo Corsi (1889-1966), direttore della rivista nella quale il saggio di Loffredo fu pubblicato originariamente, cioè “Previdenza Sociale. Rivista bimestrale dell’I.N.P.S.”.

 Nella “summa” del Magistero pacelliano offerta dal saggio di Loffredo, viene capovolta l’ottica positivistica largamente diffusa al tempo, e successivamente applicata su vasta scala nei modelli di “Welfare State” progressivamente realizzati, secondo cui la legge si esaurisce formalmente in ciò che viene espresso a maggioranza dai parlamenti, a prescindere e talora persino in spregio del diritto naturale. In realtà, come insegna la DSC, i corpi intermedi precedono la costruzione degli Stati dal momento che – per esprimersi con parole di Loffredo – quelli che definiamo “Stati” non sono altro che “unioni” o, meglio ancora, “famiglie di famiglie”.

Loffredo lo teorizza e lo spiega lungamente nella sua opera principale, pubblicata nel 1938 per Bompiani e, come avviene spesso nelle “querelle” ideologiche, dai critici più citata che realmente letta. Mi riferisco a “Politica della famiglia”, libro accolto benevolmente allora dal mondo cattolico e recensito con grande favore da una delle voci ‘ufficiose’ più autorevoli della Santa Sede, la rivista dei gesuiti – ma stampata ancora oggi previo nihil obstat della Segreteria di Stato – “La Civiltà Cattolica”. Già al tempo Loffredo scorge infatti le cause del declino demografico in un vero e proprio sistema avverso, essenzialmente politico-culturale, che da una parte legittima e promuove divorzi e unioni di fatto come necessarie conquiste di una società ‘progredita’ e, dall’altra, irride la trasmissione delle tradizionali virtù familiari (sacrificio, disciplina, onestà, etc.), l’importanza dell’autorità (paterna e non) e il rispetto dei ruoli naturali.

Di Loffredo resta la lezione svolta quasi in solitudine e dai più osteggiata di sostegno al riconoscimento pubblico del matrimonio e di contrasto a quella “cultura della morte” che, drammaticamente, sarebbe esplosa a livello di massa dopo il 1968. Uno sguardo lucido, a tratti antiveggente, che attraversa le sue pagine e, facendo tesoro del Magistero di Papa Pacelli, non cessa di interrogare nemmeno i posteri. Scriveva ad esempio nel 1939 su Difesa Sociale, allora mensile di quell’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale che, nel dopoguerra, diventerà l’INPS: “Come sarà mai possibile attuare un energico programma demografico quando ad opera dello stesso Stato il controllo delle nascite e l’aborto volontario saranno divenuti pratica generale, parte integrante del modo di concepire la vita?”.

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