Parole valide per l’oggi. Card. Eugenio Pacelli a Budapest, maggio 1938: «Eritis mihi testes»

Discorso del Cardinale Eugenio Pacelli, nelle sue funzioni di Segretario di Stato, inviato da Pio XI come Legato pontificio al Congresso Eucaristico mondiale di Budapest nel maggio 1938. (Tratto da: Pascalina Lehnert, Pio XII. Il privilegio di servirlo, Rusconi 1984, pag. 77-80). Il futuro Papa Pio XII parla di un’altra crisi, ma con parole perenni che risuonano vere e valide oggi più che mai, nella crisi oscura e inedita che stiamo attraversando.

«I discepoli del Signore, i cui occhi non sanno stac­carsi dalla visione del Maestro trasfigurato che ritorna al Padre e dalla nube che si posa tra Lui e i suoi, sono ricondotti alla realtà terrena da una voce angelica e richiamati ai doveri che quaggiù li attendono. Quid statis aspicientes in coelum? Un simile richiamo si ripete a noi in quest’ora.

Eritis mihi testes: qui, ai gradini dell’Altare, nell’orbita sacra dell’Eucarestia, si ridesta un’altra volta la con­solante coscienza del magnum pietatis sacramentum, del­l’unione con Cristo e dell’unione reciproca in Cristo, come grazia immeritata, come eredità inestimabile, come legge imprescrittibile di vita. Quale grande cosa potrebbe diven­tare il mondo, che cosa sarebbe l’umanità, se le persua­sioni provenienti da una simile esperienza, se le decisioni incalzanti da queste persuasioni, investissero la totalità dei credenti e se, al di là di essi, si aprissero ovunque strade per giungere là dove, sia nell’aspetto materiale sia in quello spirituale, si esercita un’influenza e si partecipa alla formazione della vita dei singoli e delle collettività!

Chi esplora le ultime e più profonde cause della miseria materiale e spirituale, che con pulsazioni sempre più agi­tate, con curve febbrili, impetuose, con sintomi sempre più angosciosi, tormenta l’umanità d’oggi, dovrà ricono­scere, o almeno averne in qualche modo sentore, che alla sorgente più profonda e più nascosta delle cause di que­sta crisi senza esempi, sta fermentando e suppurando una denutrizione dell’anima, un’anemia dello spirito, una infe­zione morale incominciata da lungo tempo e continuata in mille forme manifeste e segrete, la cui guarigione, sicu­ra e duratura, non si potrà trovare unicamente nei libri della sapienza e della scienza umana. Se non si riuscirà a riportare l’uomo d’oggi in una forma a lui adatta, che congiunga la verità alla carità, alle acque vive, alle quali si dissetarono le epoche di più viva fede; se non si riu­scirà a fargli ritrovare, come individuo e come membro della umana società, l’adesione alle basi religiose del suo essere, ad assegnargli, nei molteplici rapporti della sua vita, un punto fermo morale, la cui osservanza è vigilata non solo dalle norme umane e dalla forza materiale, ma dalla maestà della legge di Dio, certo non si potrà più arrestare l’ulteriore slittamento lungo il piano inclinato, l’intimo processo di avvelenamento nell’ambito, appunto, individuale e sociale.

Dove, dilettissimi, esiste nella storia dell’umanità un’epoca che possa essere confrontata colla presente, per l’imponenza dei compiti che le sono posti, per la discor­danza intorno alle vie da intraprendere, per il contrasto delle opinioni e dei sentimenti, per la ostinata passiona­lità delle controversie bellicose già scoppiate o incalzanti verso l’esplosione? Voler vincere o, anche soltanto, mode­rare nella loro essenza questi giganteschi, quasi diabolici dissidi nel piano e coi mezzi umani soltanto è un lavoro di Sisifo, all’idealismo del quale si potrà, è vero, tributare l’estimazione umana, ma che però è irrevocabilmente vo­tato all’insuccesso.

Quanto più poi si rende sensibile questa estrema im­possibilità di superare le angustie del nostro tempo coi soli mezzi materiali di potenza, tanto più le parti in lotta si irrigidiscono, tanto più tragica si fa la confusione babiIonica tra uomo e uomo, tra Stato e Stato, e tanto mag­giormente si allontana la pace, che in ultima analisi tutte e tutti desiderano.

La Chiesa non è chiamata a prendere posizione in cose e questioni di opportunità puramente terrene, tra i diversi sistemi e metodi che possono essere applicati per risolvere i problemi urgenti dell’ora. Il suo servire la ve­rità, il suo universale apostolato di amore escludono ogni limitazione e irrigidimento della sua missione nel senso di una unilaterale posizione di partito.

Nella sistemazione concreta del proprio destino e del­le proprie fortune, ogni popolo segue, entro il quadro dei disegni della Creazione e della Redenzione, le vie sue par­ticolari, assecondando le leggi non scritte e le contingenze, come lo consigliano, anzi spesso quasi lo impongono, le sue forze, le sue inclinazioni, le sue caratteristiche, la sua situazione generale. Purché il rispetto della legge di Dio e la salute delle anime rimangano al sicuro, la Chiesa se­gue queste vie spesso tanto diverse dei popoli verso la loro meta, con quella longanimità e amorevolezza, colla quale le madri accompagnano lo sviluppo, il crescere, la progressiva ascesa dei propri figli. La Chiesa sa di essere libera da strettoie e pregiudizi, da incomprensione verso nuove mete e verso le necessità determinate dai tempi. Essa non diffida delle cose nuove, perché sono nuove; non ri­mane avvinta alle cose antiche, perché antiche.

Nel suo programma universale, ogni tempo e ogni po­polo hanno il loro posto provvidenziale, fissato dal vasto disegno creatore e redentore dell’Eterno.

Cristo Signore, davanti al quale noi qui siamo rac­colti in ossequio, è mandato a tutti i tempi, anche al no­stro. Se alcuni interpreti dello spirito contemporaneo – continuando e accentuando passati errori – tentano di co­struire la felicità individuale e collettiva senza Cristo, o addirittura contro Cristo, allora deve dirsi giunta per noi l’ora dell‘Eritis mihi testes. Allora è sacro dovere di colo­ro, che stanno con Cristo e in Lui vedono la definitiva parola di Dio all’umanità, di slanciarsi contro ogni svolgi­mento errato e di difendere l’instaurare omnia in Christo, impavidi e con amore.

Questo congresso mondiale si è svolto sotto il sim­bolo dell’Eucaristia, vinculum amoris.

Portiamo con noi il messaggio di questo vinculum amoris nel mondo dilaniato, spiritualmente sconvolto, san­guinante in lotta fraterna e di odio.

Animati dallo spirito di Cristo, sospinti dal suo amo­re, cercando Lui e null’altro, Lui e il suo onore, l’accresci­mento del suo regno e la salvezza dei nostri fratelli e so­relle, sia dentro, sia fuori della Chiesa, noi amiamo questo nostro tempo ad onta di tutte le sue minacce ed angustie, lo amiamo appunto per questi pericoli e per le difficoltà dei suoi compiti, pronti a quell’impegno totale, incondizionato, disinteressato, senza di cui nulla di grande e di decisivo può avvenire.»

Fonte: chiesaepostconcilio.blogspot.it

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