Pio XII, invece di parlare, agì

Una signora, Renata Consoli, scrive oggi al Corriere della sera per chiedere a Sergio Romano perché Pio XII non intervenne mai per aiutare gli ebrei. Romano risponde da par suo, riassumendo con esemplare equilibrio le posizioni di chi accusa Pacelli per il suo silenzio e di chi lo difende.

La signora e Romano, se hanno la bontà di leggermi, sulla questione lascino intervenire anche me, che non sono per niente equilibrato, specialmente quando le cose le so e non gli giro intorno nel raccontarle.

pacelli2Montanelli e poi Andrea Tornielli riferiscono che, nella Roma occupata dai tedeschi nel 1943, Dollmann (o forse Wolff, non ricordo più, sto citando a memoria) convocò il sostituto segretario di stato Montini per comunicargli di aver appreso dai servizi segreti – in Vaticano c’era una talpa – che Pacelli il giorno dopo avrebbe letto un messaggio alla radio denunciando la sorte riservata da Hitler agli ebrei. Se lo avesse fatto, l’ordine di Berlino era chiaro: ingresso dei tedeschi in Vaticano e arresto e deportazione del papa. Montini riferì l’ultimatum a Pio XII che rinunciò a leggere il messaggio e passò la notte a distruggere tutti i documenti compromettenti, aiutato da suor Pascalina. Inoltre, consegnò a un cardinale una lettera di dimissioni da papa, in modo che se i tedeschi lo avessero arrestato non avrebbero auto nelle loro mani un papa ma un semplice prete.

Quella stessa notte i tedeschi, per far capire a Pacelli che facevano sul serio, bombardarono il Vaticano. Uno Stukas lanciò una bomba che colpì un’ala della bibilioteca, da cui un cardinale era appena uscito. I danni furono modesti ma evidenti. Che a bombardare il Vaticano erano stati i tedeschi, e non gli angloamericani come raccontarono il giorno dopo i giornali pubblicando la velina del Minculpop, lo capirono tutti gli abitanti della zona: gli Stukas in volo emettevano un sibilo caratteristico che gli italiani avevano da tempo imparato a riconoscere. Abito da sempre a un tiro di schioppo dal Vaticano e ricordo che mia madre, prendendomi in braccio per raggiungere in fretta il rifugio in cantina, disse: Poveri noi, adesso ci bombardano pure i tedeschi!

Pacelli non lesse il messaggio e i tedeschi non lo arrestarono. Ma continuò incessantemente a salvare ebrei e a dare ordini, non scritti, perché le chiese di tutta Europa li aiutassero a fuggire o a nascondersi nei conventi o nelle case dei fedeli più coraggiosi.

I documenti che lo dimostrano? Non esistono più. Li bruciò lui stesso nel camino del suo appartamento. Inutile cercare quel che non c’è. Ma rimangono le testimonianze di chi si è salvato dall’olocausto rifugiandosi in Vaticano, nelle chiese, nei conventi. Un calcolo approssimativo attribuisce al Vaticano, cioè agli ordini dati da Pacelli, il salvataggio di circa ottocentomila ebrei, undicimila dei quali romani.

Ma è inutile sperare di convincere chi accusa il silenzio di Pacelli per giustificare la propria viltà, la viltà di chi sapeva e, al contrario di Pacelli, non fece niente per salvare almeno una persona.

Arrigo d’Armiento

Fonte: romadailynews.it (02/11/2014)

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